venerdì 28 marzo 2008

Quarto fuori tema

Al giorno d'oggi si stanno troppo banalizzando e svalutando le frasi "Ti voglio bene" e "Ti amo". Nel triduo ho riflettuto su cosa voglia dire "volere bene". "Ti voglio bene" significa proprio che io voglio il bene per te, e in alcuni casi questo bene per te porta anche a mie rinuncie o svantaggi; è un coinvolgimento, una messa in gioco, una specie di patto, a volte un vero e proprio sacrificio, non una cosa banale e superficiale; per questo dobbiamo pensarci 2 volte prima di dirlo, e, se decidiamo di pronunciare quella frase, farla uscire insieme al nostro cuore. Il "Ti voglio bene" a volte può entrare in contrasto con il "Ti amo" proprio perchè stanno a due livelli diversi. Per far capire ciò, ho preso una recensione fatta sul carme 72 di Catullo, che mi aveva colpito molto quando l'avevo studiato. Buona lettura

Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.

dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,

sed pater ut gnatos diligit et generos.
nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
qui potis est, inquis? quod amantem iniuria talis

cogit amare magis, sed bene velle minus.


Una volta dicevi di conoscere solo Catullo,
e che non mi avresti cambiato neppure con Giove.
Ti ho amato allora non come si ama un'amante,
ma come un padre ama i figli e i generi.
Ora ti ho conosciuto, e anche se brucio più forte,
ai miei occhi vali molto di meno.
Come può essere, dici? Perché l'offesa che tu mi hai fatto
costringe chi ama ad amare di più, ma a voler bene di meno.


Catullo, un tempo (quondam), amava la sua donna non come comunemente si ama un'amante (amicam), ma come un padre ama i figli. Cioè l'amava di un amore appassionato che era non solo passione ma anche affetto profondo, condivisione, gioia. Perché lei era soltanto sua, e diceva che non avrebbe mai voluto un altro al suo posto, nemmeno Giove in persona. Era l'amore perfetto, perché aveva tutto, passione e benevolenza profonda, nello stesso tempo.
Poi invece lei lo tradisce. E lui realizza (te cognovi) che le cose non stanno così come credeva: forse non lo sono mai state. E cosa succede? Questa magica unità si rompe: l'amare e il voler bene, che una volta erano uniti nel sentimento che li legava, rendendolo il più felice degli uomini, si separano. E il poeta è lacerato: perché continua ad amare, a bruciare (uror), terribilmente. Non può smettere di farlo, anzi: adesso ama ancora di più, per gelosia, desiderio, senso di privazione. Ma nello stesso tempo disprezza Lesbia, la considera vile e dappoco, di valore infimo. Non le vuole più bene. Prima l'amava e le voleva bene, ora l'ama di più e le vuole bene di meno. Anzi, tanto più l'ama, tanto meno le vuole bene. I due sentimenti, da uniti e compatibili, tali da creare un legame meraviglioso, sono diventati divisi e incompatibili, inversamente proporzionali l'uno all'altro. E', questo, uno dei carmi del discidium, della separazione. Parola che, a differenza di divortium, non comporta un taglio netto, ma significa invece "strappo", e comporta una lacerazione.

Insomma, Catullo si accorge, avverte, lo strappo. E per primo ci dice che amare e voler bene sono due cose DIVERSE. Non sono la stessa cosa a livelli differenti di intensità: sono due cose diverse che per rendere felice l'uomo devono stare insieme. Ma perché possano stare insieme occorrono certe condizioni: la fiducia, la dedizione, la sincerità, la capacità di donarsi. Altrimenti i due sentimenti si strappano l'uno dall'altro, drammaticamente, e si dividono.Possono dividersi, perché non sono la stessa cosa. Si può amare e non voler bene. Si può voler bene e non amare. Ma si può anche, ed è la felicità, voler bene e amare.

Hube


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